La difficile riorganizzazione, il potere affidato ai boss ottantenni, la ricerca di “picciotti sicuri”. E ancora il “no” a Messina Denaro e il ritorno degli “scappati”. C’è tutto questo nella relazione semestrale della Dia: “Quel parroco taglieggiato alla Noce e la scalata della mafia nigeriana”.
La difficile riorganizzazione, il rispetto eterno per la tradizione e i boss ottantenni, la ricerca spasmodica di “picciotti sicuri”. E ancora la diffidenza verso Messina Denaro e il ritorno degli “scappati”. C’è tutto questo nella relazione semestrale della Dia, la Direzione investigativa antimafia, sulle organizzazioni criminali in Italia, che dedica una parte consistente alle nuove evoluzioni di Cosa nostra.
“La mafia palermitana è periodicamente costretta a una forzata riconfigurazione organica, non sempre condivisa, a seguito dei numerosi arresti, dell’emergere di nuove leve e delle scarcerazioni di personaggi già con ruoli di vertice – si legge nella relazione -. L’organizzazione continua a mostrare fibrillazioni e contrapposizioni all’interno di famiglie e mandamenti. Diversi capi e reggenti, specie se emergenti e giovani, non sempre godono di unanime riconoscimento e non di rado sono ritenuti inadeguati a garantire il rispetto delle regole, dirimere i contrasti, gestire gli affari e le emergenze”.
Comandano ancora gli ottantenni
Per la gestione complessiva delle attività criminali di maggiore importanza, in attesa di una definitiva riorganizzazione, si farà verosimilmente ancora ricorso ad un sistema di referenze territoriali, governate da anziani uomini d’onore, figure carismatiche cui, indipendentemente dalla carica ricoperta e pur in assenza di una formale nomina, viene diffusamente riconosciuta autorevolezza e influenza sul territorio. “Non a caso – spiega la Dia – diverse attività investigative hanno dimostrato come molti anziani boss, anche ultraottantenni, spesso dopo essere stati scarcerati al termine di lunghi periodi di detenzione, abbiano ripreso il loro incarico o si siano comunque dedicati alla gestione degli affari più importanti ed alla riorganizzazione e riqualificazione delle consorterie mafiose di appartenenza”.
La divisione in mandamenti
Dopo la morte di Riina, Cosa nostra palermitana con ogni probabilità continuerà a vivere una fase di transizione, durante la quale le componenti più autorevoli si confronteranno per conferire alla struttura un nuovo assetto, cercando di preservare l’ordinamento verticistico e unitario. “Dalle più recenti acquisizioni info-investigative – si legge – il territorio risulta suddiviso in 15 mandamenti (8 in città e 7 in provincia), composti da 81 famiglie (32 in città e 49 in provincia): Cosa nostra palermitana, nonostante l’incessante opera di contrasto da parte dello Stato e pur continuando a perseguire una politica di basso profilo e mimetizzazione, testimonia ancora una pericolosa potenzialità offensiva.
Alla Noce il pizzo si chiede al parroco
La mafia si conferma attiva nella sistematica imposizione del pizzo, che costituisce anche un fondamentale strumento di controllo del territorio. Nel primo semestre del 2018, quello preso in esame dalla Dia, le investigazioni hanno consentito di ricostruire una serie di episodi estorsivi e di danneggiamenti di varia natura. “Un’indagine della polizia – si legge nella relazione – ha fatto luce sulle “imposizioni” messe in atto dalla famiglia della Noce, a danno di diversi operatori commerciali, i cui proventi venivano utilizzati per l’acquisizione di attività economiche. Sono state documentate minacce e pressioni ai danni di un parroco, affinché patrocinasse una festa rionale organizzata dagli arrestati, per estorcere ai venditori ambulanti denaro da destinare ai familiari degli affiliati reclusi. L’inchiesta, tra l’altro, ha fatto emergere come le nuove leve, per l’assenza dei vertici, detenuti, abbiano finito per scalare le gerarchie della famiglia criminale”.
Droga dall’Albania e scommesse a gogò
Le strategie operative di Cosa nostra esprimono anche una particolare propensione anche verso il traffico di sostanze stupefacenti. L’organizzazione mafiosa siciliana opera, in tale ambito, in un sistema criminale integrato insieme a ‘Ndrangheta e Camorra. Non sono, infatti, rari i casi di corrieri fermati in arrivo dalla Campania e dalla Calabria, ovvero dall’estero, come nel caso dell’Albania. Palermo costituisce bacino di approvvigionamento per l’intero territorio regionale ed il mercato continua ad essere gestito direttamente da personaggi vicini all’organizzazione mafiosa. Altro lucroso settore d’investimento si conferma quello dei giochi e delle scommesse. Sono state sottoposte a sequestro numerose agenzie che utilizzavano un network di diritto maltese. Sul piano generale, tutti i mandamenti mafiosi sembrano interessati al settore, favorendo l’apertura di nuove agenzie di gioco.
Mancano i soldi, servono le rapine
La Dia sottolinea: “Nonostante questi lucrosi business criminali, da tempo si registra il coinvolgimento di mafiosi o di loro parenti anche nella commissione di rapine, di norma appannaggio di delinquenti comuni. Ciò appare verosimilmente collegato ad una possibile carenza di liquidità. Tuttavia, stretti congiunti di elementi di vertice delle famiglie mafiose non disdegnerebbero tali reati predatori anche per dimostrare, ai consociati, le loro capacità e la propria determinazione criminali, derivanti dall’appartenenza a tradizionali gruppi familiari di Cosa nostra”.
Avanza la mafia nigeriana: è tollerata dai boss
Sul territorio della provincia si registra, infine, anche la presenza di bande criminali composte da stranieri, specializzate in determinati settori illeciti. “Emerge come l’eventuale ricorso a loro da parte di Cosa nostra sia limitato ad una collaborazione, anche non episodica, per attività criminali circoscritte e più rischiose (come lo spaccio di droga, lo sfruttamento della prostituzione o la riscossione del pizzo), con ruoli di basso profilo. Le famiglie mafiose manterrebbero, quindi, il controllo delle attività nelle zone di rispettiva competenza, tollerando la presenza – anche in rioni e quartieri, come Ballarò o Brancaccio – di gruppi organizzati stranieri in ruoli marginali di cooperazione. Un discorso a parte merita la criminalità organizzata nigeriana, che dimostrando molteplici elementi propri delle associazioni di tipo mafioso, ha saputo progressivamente insediarsi anche nel territorio palermitano e organizzarsi per la gestione e il controllo stabile di attività illegali, quali lo sfruttamento della prostituzione e il traffico di sostanze stupefacenti. Cosa nostra, pressata da esigenze contingenti, e da sempre caratterizzata da un’opportunistica flessibilità, potrebbe essersi adattata alla nuova realtà evitando conflitti”.
Gli scarcerati e il fermento dei boss
Le ultime indagini corroborate anche dalle più recenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, fanno vedere come la mafia sia impegnata in un riassetto degli equilibri interni. Una situazione di sofferenza – a detta della Dia – su cui ha ulteriormente inciso la lunga mancanza di una effettiva struttura di vertice. “La mafia palermitana, per ovviare alla lunga fase di stallo, ha dovuto finora fare ricorso ad assetti decisionali ed operativi provvisori, affidando la guida di famiglie e mandamenti a reggenti, che non sempre si sono dimostrati adeguati, assumendo talora decisioni non condivise, se non addirittura controproducenti”. “Il fermento di alcune famiglie, dovuto all’esigenza di rinnovare una classe dirigente decimata dagli arresti e non più in grado di fornire risposte convincenti alla base verrebbe amplificato da un malcontento diffuso degli affiliati e dei familiari dei detenuti, colpiti da un’evidente crisi di welfare, determinata dalla significativa carenza di liquidità. Il venir meno della compattezza e, quindi, della forza di Cosa nostra – intesa come struttura unitaria, certamente complessa ed articolata, ma anche caratterizzata da connotazioni rigorosamente gerarchiche e regolamentate – sembra correlarsi non solo con i frequenti sconfinamenti territoriali, con indebite ingerenze ed iniziative non autorizzate, ma soprattutto con il crescente numero di uomini d’onore che tendono a rivendicare, per sé o per la loro articolazione, posizioni di preminenza o comunque di autonomia, se non addirittura a proporre la propria candidatura a cariche interne all’organizzazione mafiosa. L’intera struttura deve, inoltre, rapportarsi con le sempre più frequenti scarcerazioni per “fine pena” di quegli uomini d’onore che nutrono aspettative e pretese di recupero, sostanziale e formale, del potere che hanno dovuto cedere dal momento del loro arresto”.
Il ritorno degli scappati
Oltre a ciò, già da diversi anni Cosa nostra deve confrontarsi anche con il ritorno dei cosiddetti “scappati”, i perdenti sopravvissuti alla “seconda guerra di mafia” vinta dai corleonesi. Si tratta di mafiosi che per avere salva la vita, furono costretti a trovare rifugio all’estero, in particolar modo in Nord America, dove potevano contare su legami “storici”, rafforzati dal narcotraffico internazionale di eroina all’epoca gestito proprio dall’organizzazione siciliana. Considerato che, finora, non si sono registrate ritorsioni o vendette, molti di loro, una volta rientrati a Palermo, potrebbero recuperare quel potere che erano stati costretti a cedere, negli anni ’80, per l’indiscriminata violenza dei corleonesi, anche stringendo accordi con gli eredi degli antichi rivali, in ciò avvalendosi degli ancora esistenti rapporti con i boss d’oltreoceano. Senza dubbio, nel corso degli ultimi anni, Cosa nostra ha subito qualche indebolimento come organizzazione
compatta e unitaria. Ciò, anche per la sotterranea contrapposizione di due correnti: l’una, intransigente ed oltranzista, legata alla “linea Riina” e l’altra, più moderata e meno disposta all’uso non misurato della forza, quella che storicamente ha fatto sempre riferimento al rapporto, quasi aritmetico, tra costi e benefici. Comunque, il vuoto di potere venutosi a determinare pone ora un’esigenza di rinnovamento e di riorganizzazione complessiva della organizzazione, probabilmente non più rinviabile”.
I boss palermitani respingono Messina Denaro
Tra le questioni irrisolte si inserisce l’inquadramento della figura di Matteo Messina Denaro. “Nonostante il latitante abbia goduto di rapporti, consolidati, risalenti nel tempo, con uomini d’onore dei mandamenti strategici palermitani, quali quelli di Brancaccio e di Bagheria, gli elementi di vertice di Palermo, soprattutto dopo l’esperienza corleonese, non sarebbero ora favorevoli ad essere rappresentati da un capo non palermitano, specie quando, come nel caso del latitante di Castelvetrano, lui è chiamato, in primo luogo, come testimoniano recenti attività investigative, continuamente a confermare, in ragione della sua “assenza operativa” dal territorio, il ruolo di leader nella provincia di Trapani”.
La ricerca di “picciotti sicuri”
Non può pure escludersi che capi emergenti, anche eredi di storiche famiglie, approfittino della situazione e cerchino spazi per scalare posizioni di potere. Non è anche da escludere che, alla luce della non chiara evoluzione del quadro descritto, le articolate dinamiche dell’organizzazione possano sfociare in atti di violenza particolarmente cruenti. Cosa nostra si conferma, comunque, una struttura ancora vitale, dinamica e plasmabile a seconda dei mutamenti delle condizioni esterne. In un quadro generale così delineato, la capacità di imporre il rispetto di regole condivise, che consentano agli affiliati di identificarsi nell’organizzazione, rappresenta sempre il migliore collante per garantirne la sopravvivenza. “Cosa nostra sembra, infatti, avvertire il bisogno, per rigenerarsi, di proseguire nel processo di “restaurazione delle regole” fortemente anticipato da Bernardo Provenzano, con la conferma al ricorso alla “tradizione” attraverso schemi organizzativi idonei a riproporre i modelli unitari del passato – si legge nella relazione -. Tra le regole di comportamento ritenute attualmente imprescindibili si segnalano il ricorso a maggior accortezza nell’individuazione dei soggetti da affiliare, cioè alla necessità di scegliere “picciotti sicuri”, preferibilmente appartenenti cioè a famiglie di chiara tradizione mafiosa. A tal proposito, verrebbero “recuperati”, ai vari livelli, associati storici e di provata credibilità ed affidabilità”.
Fonte: Palermo Today 14/02/2019