CHI SIAMO

L’adesivo addiopizzo

Quello che segue è il racconto di uno degli ideatori dell’adesivo, scritto nella notte fra il 28 e il 29 agosto, poco prima di andare ad attaccare uno degli striscioni con su scritto “Un intero popolo che si ribella al pizzo è Libero”, e poi pubblicato sul numero zero della rivista Margini, pubblicata da Letteralmente.

Amunì picciotti, a questo punto non possiamo non farlo!

Le parole di Pietro manifestarono così l’intesa che avevamo raggiunto in un attimo, dopo settimane di discussioni e perplessità.
Salvo ci aveva appena riferito la dichiarazione che aveva rilasciato la signora Pina Maisano Grassi dopo la sentenza che il 10 giugno metteva fine al processo Agate, dieci anni di udienze conclusi con trenta ergastoli, due dei quali inflitti a Francesco e Salvatore Madonia, condannati in quanto mandanti dell’omicidio di Libero Grassi, l’imprenditore ammazzato il 29 agosto 1991 per la sua solitaria ribellione al pizzo.
In un Paese normale, dopo una sentenza del genere dalla vedova della vittima ti aspetteresti parole che esprimano un minimo di soddisfazione, ma la dichiarazione della signora ci manifestò con vigore un’anomala, dolorosa e disarmante verità: “Dopo tutti questi anni la cosa che più mi sorprende e mi amareggia è che tutti continuano a pagare e tutti fanno finta di niente”.

La notte tra il 28 e il 29 giugno uscimmo a piedi e in bicicletta per tappezzare le strade del centro di Palermo di piccoli adesivi listati a lutto con su scritto:

UN INTERO POPOLO CHE PAGA IL PIZZO È UN POPOLO SENZA DIGNITÀ.

Il giorno dopo tutti i telegiornali regionali aprivano con questa notizia e il prefetto di Palermo Giosué Marino convocava in prefettura il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. C’erano il procuratore generale, il comandante provinciale dei carabinieri, quello della guardia di finanza, il questore e i rappresentanti di Confcommercio, Assindustria e Confesercenti. Durante la conferenza stampa che seguì, un rappresentante di Confcommercio dichiarò che avrebbero fatto istituire subito un nuovo numero verde per raccogliere le denunce anonime (la Confesercenti ne aveva disattivato uno poche settimane prima perché non chiamava mai nessuno) e la Camera di Commercio fece sapere che avrebbe fatto nascere un comitato di monitoraggio del fenomeno e di sostegno a commercianti e imprenditori.
Chi sa se l’hanno fatto davvero dopo che hanno scoperto che l’autore del clamoroso gesto non era un commerciante in difficoltà ma un gruppo di sette amici , studenti, neolaureati e giovani alle prime armi con il mondo del lavoro.

Tra le tante cose, su di noi s’è pure scritto che siamo un po’ buontemponi e naif, e c’è senz’altro del vero perché, come i bambini (o gli ubriaconi), alla fin fine non abbiamo fatto altro che gridare: il Re è nudo! Anzi, la genesi della nostra azione è senz’altro naif. Per soddisfare un po’ la curiosità generata dal nostro anonimato, ve la voglio raccontare.
All’origine c’è il desiderio. Il desiderio di aprire un piccolo pub nel centro storico di Palermo, un locale che offra solo beni prodotti e commercializzati nel maggior rispetto possibile dei lavoratori, dell’ambiente e della salute del consumatore. Un posto con un angolo per fare controinformazione, dove conoscere belle ragazze con idee simili alle nostre, dove mettere solo la musica che piace a noi e servire da bere al le persone che come noi si ritrovano spesso fino a tarda notte attorno a un tavolo a bere e fantasticare su un mondo che non c’è. Sostanzialmente il nostro desiderio era (ed è) quello di passare dall’altra parte del bancone per testimoniare con il buon funzionamento di un posto del genere che un’altra città è possibile. Insomma, una sera come tante altre si fantasticava sulla possibilità di aprire un posto del genere, e siccome non abbiamo una lira per realizzarlo, con buona pace del principio di realtà, si fantasticava a briglia sciolta. Tant’è che a un certo punto qualcuno esclamò: ragazzi adesso basta con le seghe mentali! Sapete com’è, essendo tutti alle soglie dei trent’anni a turno ognuno di noi si prende la briga di richiamare gli altri all’ordine, all’ordine dell’esistente. Per inciso, è un richiamo che accetto solo da un amico.
– Però, se è vero che Lucia riesce a trovare un posto con un affitto poco più che simbolico, potremmo pensare di redigere un progetto per avere un finanziamento pubblico.
– Ma tu non dovevi fare il professore?
– Io sulla carta lo sono già e comunque anche tu, non stai per diventare medico?
– Ci dobbiamo rompere il culo per fare il lavoro per il quale abbiamo studiato!
– Se facessimo i turni… L’ultimo bicchierino?
– Basta, a letto!
– Va buo’, quando Lucia avrà trovato il posto…
– Bravo, ne riparliamo
– Notte raga’.
E che notte! Mi ero fatto prendere troppo dalla discussione,e quando è così non riesco mai ad addormentarmi subito. Per distrarmi misi su un CD di un musicista africano prestatomi da Dino (un altro della banda, amante dell’Africa), un certo Habib Koite. Lo stratagemma funzionò fino al termine della musica, ma nel dormiveglia che nel frattempo era sopraggiunto i pensieri ripresero a scorrere come un magma. Che però si arrestò presto contro la domanda che non m’aspettavo: e se poi ci vengono a chiedere il pizzo che facciamo? …no, non lo paghiamo! … minchia, però se ci rifiutiamo solo noi poi ci bruciano il locale. Ma che palle! Ma è mai possibile che devono pagare tutti senza fiatare? E non mi vengano a dire che non è così! … ma di che mi preoccupo, sto solo fantasticando… ma è mai possibile che in questa città uno non si può fare nemmeno le seghe mentali in santa pace?! Lascia perdere Errico, dormi!
Un istante dopo , però, mi venne in mente una frase già bella e fatta. La ripetei a bassa voce tra me e me e mi alzai di scatto per appuntarmela: Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità.
Il giorno dopo raccontai tutto ai miei amici e cominciammo a ragionarci su.
Sembrò subito a tutti un’affermazione forte e immediata, espressione di una violenta e precisa presa di coscienza. Decidemmo di ricorrere agli adesivi perchè ci pareva la maniera più semplice per raggiungere il maggior numero possibile di persone. Diciamo pure l’unica. Essendo dei “signor nessuno” non abbiamo fatto altro che prenderci lo spazio che ci serviva per esprimere il nostro pensiero.
Facemmo grosso modo questo ragionamento: Se uno camminando per strada si ritrova all’improvviso questa affermazione come può reagire? Se risulta falsa potranno pacificamente mandarci a quel paese, incazzarsi, dire noi non siamo un popolo che paga il pizzo. Ma se viene giudicata vera? Allora non potranno mandarci a quel paese, allora vuol dire che è vero che il fenomeno è tanto diffuso quanto consapevolmente passato sotto silenzio.
L’idea dell’adesivo ci era venuta subito, ma da lì ad andare per strada la notte ad attaccarli passarono quasi due mesi. Dopo qualche settimana cominciammo a vederci appositamente per parlare del perché, del percome e dei possibili rischi. Dalla volta in cui durante uno di questi incontri Antonio mise su Get up, Stand up for your rights di Bob Marley & The Wailers, cominciammo a comportarci come una vera e propria banda, se non altro perché sapevamo che saremmo andati ad affrontare in maniera nuova un argomento bandito dal dibattito pubblico. Il gruppo si affiatava sempre di più, grazie anche all’umorismo che apriva e chiudeva ogni nostro incontro. Prima ancora di aver fatto stampare gli adesivi avevamo già redatto la prima bozza del documento di “rivendicazione” (pubblicato integralmente sull’edizione cittadina di “la Repubblica” dell’uno luglio, adesso consultabile, insieme a tanti altri materiali e informazioni utili, all’indirizzo www.addiopizzo.altervista.org ), ma senza neanche sapere perché continuavamo a temporeggiare. Eravamo preoccupati non si sa bene di cosa, certo non di ricevere una multa per affissioni abusive, con quello che stavano combinando i politici alla vigilia delle europee con le loro belle faccie da culo appese ovunque per le strade.

Era come se alle nostre motivazioni mancasse qualcosa. E quel qualcosa furono le parole dette dalla signora Pina Maisano Grassi. Arrivate mentre rimuginavano sulla nostra idea, quelle parole ci fecero sentire una grande senso di responsabilità e di solidarietà. Furono la rivelazione istantanea che la vita di ognuno è legata a quella di ogni altro. E che un tessuto civile è l’espressione consapevole di questo dato.
La frase dei nostri adesivi può sembrare un’espressione di rabbia, ma in realtà non fa altro che fare leva sull’amor proprio di ognuno. Settimane di discussioni e le parole della vedova Grassi ci fecero capire che la vita di ognuno di noi è liberamente legata a quella di ogni altro solo là dove si è capaci di esprimere un genuino amor proprio, e che se un siciliano vuole dare un giudizio sulla mafia, in una maniera o nell’altra, dovrebbe darlo anche su sé stesso, sulla sua maniera di stare insieme agli altri.
Il pizzo è uno strumento per controllare in maniera capillare il territorio, quindi è il simbolo della negazione della sovranità popolare. Il nostro adesivo è listato a lutto, ma è il contrario di ciò che appare, è espressione di amore. Se non fosse così non ci saremmo mai spinti a spendere un po’ di soldi e molte ore per farlo e attaccarlo in giro.
Questo dovrebbe aiutare a capire meglio anche il nostro anonimato. Noi vogliamo che quelle siano le parole di tutti i siciliani, mettano fuori l’umiliazione segreta che ci rode dentro e ci mettano davanti agli occhi la possibilità di dire basta e riappropriarci della sovranità sulla nostra vita. Consideriamo la nostra idea il sintomo di un qualcosa che va ben al di là delle nostre personali biografie, e poiché speriamo che alle nostre azioni seguano cose ben più importanti, vogliamo evitare che l’attenzione si sposti su di noi piuttosto che sul problema. Vogliamo essere piccola parte di una storia collettiva che si sta ancora scrivendo.
Per il momento da sette siamo diventati una trentina.

Sono le 23:50 del 28/08/04, domani è l’anniversario dell’omicidio di Libero Grassi e fra qualche ora trenta giovani siciliani (nessun imprenditore o commerciante) cercherà di compiere delle azioni che rilancino la mobilitazione contro il pizzo. Se andranno a buon fine saranno un contributo al movimento che speriamo prenda piede: un movimento di autoeducazione popolare finalizzato alla liberazione delle nostre menti e del territorio dalla mafia.
Sono un po’ nervoso, ma fiducioso, sto ascoltando Redemption song di Bob Marley.
Se qualcuno mi dovesse domandare come andrà avanti tutta questa storia, ora come ora, l’unica cosa che saprei rispondere è: Amunì, e comu finisci si cunta!