42 anni fa, il 30 aprile 1982, Cosa nostra assassinava barbaramente l’On. Pio La Torre e il suo compagno di partito Rosario Di Salvo.
Si farebbe un grave errore, però, a bollare come semplice omicidio di stampo mafioso quello di La Torre. Infatti, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nell’ordinanza di rinvio al giudizio del Maxiprocesso scrivevano: «Qui si parla di omicidi politici, di omicidi, cioè, in cui si è realizzata una singolare convergenza di interessi mafiosi ed oscuri interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica; fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti e di inquietanti collegamenti che vanno ben al di là della mera contiguità e che debbono essere individuati e colpiti se si vuole veramente “voltare pagina”».
Pio La Torre, infatti, oltre a essere primo firmatario della legge che verrà approvata qualche mese dopo, che introduceva il reato di associazione di tipo mafioso e la confisca dei beni, si era a lungo battuto contro la speculazione edilizia e la costruzione della base missilistica NATO a Comiso che rappresentava una minaccia per la pace nel Mar Mediterraneo e per la stessa Sicilia.
Al netto di queste ombre su cui probabilmente non si riuscirà mai del tutto a fare luce, l’apporto di Pio La Torre e il suo sacrificio insieme a Rosario Di Salvo, hanno fatto premere l’acceleratore al Parlamento per l’approvazione di un testo di legge rivoluzionario, che ancora oggi costituisce una pietra miliare per la lotta alla mafia. Alla stesura del testo avevano contribuito anche gli stessi Falcone e Borsellino: da qui la straordinaria efficacia e attualità delle misure di contrasto allora introdotte.
L’impegno di La Torre e Di Salvo trascendeva la politica partitica: avevano intuito come la lotta alla mafia fosse una questione su cui non potevano costruirsi steccati ideologici, ma che dovesse unire il Paese tutto: condizione imprescindibile per “voltare pagina”.
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