Il 26 luglio 1992 , a pochi giorni dall’uccisione di Paolo Borsellino, moriva Rita Atria testimone di giustizia. Riaperto in questi giorni dalla procura di Roma il caso archiviato come suicidio.
Nata a Partanna (TP) nel 1974, Rita Atria faceva parte di una famiglia mafiosa. Il padre Vito e il fratello Nicola erano entrambi affiliati alla cosca del territorio, e furono uccisi da Cosa Nostra per un regolamento di conti.
Quando Piera Aiello, cognata di Rita, decise di collaborare denunciando i killer del marito Nicola, infrangendo il muro dell’omertà, Rita ne seguì l’esempio. Aveva 17 anni.
Recatasi a Marsala si presentò al procuratore, allora Paolo Borsellino, che da quel momento fu per lei figura di riferimento e conforto. Grazie alla dichiarazioni rilasciate, numerosi arresti vennero messi a segno ed iniziarono per Rita le minacce e l’emarginazione da parte della comunità e della famiglia d’origine, compresa la madre. Venne a questo punta trasferita a Roma in un alloggio protetto, com’era già successo alla cognata.
Nei suoi diari troviamo le toccanti riflessioni di una giovanissima donna che si schiera apertamente contro la mafia:
“Bisogna rendere coscienti i ragazzi che vivono nella mafia che al di fuori c’è un altro mondo, fatto di cose semplici ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di quello o perché hai pagato per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare? se ognuno di noi prova a cambiare forse ce la faremo”
Fino ad oggi si era creduto che quel 26 luglio del 1992, a causa dello sconforto e del dolore causato dalla morte del giudice Borsellino, così importante nella storia di Rita Atria, la giovane si fosse tolta la vita precipitando dal palazzo in cui risiedeva a Roma sotto protezione. Proprio in questi giorni però il fascicolo sulla sua morte è stato riaperto dalla procura di Roma.
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