Il 27 febbraio 1985, Cosa nostra uccise Pietro Patti.
Era un giovane imprenditore palermitano che non cedeva alle minacce di estorsione. Secondo quanto riportato dalle testate dell’epoca, Pietro Patti avrebbe dovuto pagare una tangente di mezzo miliardo di lire alla cosca di Brancaccio, quartiere periferico della città dove si trovava la sua impresa, uno stabilimento per la lavorazione e l’esportazione di frutta secca. Per intimidirlo, la mafia gli fece saltare in aria prima il capannone, poi l’automobile.
Il costante rifiuto del pizzo gli costò la vita. Mentre Pietro accompagnava le figlie a scuola, due sicari si avvicinarono alla sua vettura e gli infersero tre colpi di pistola, di cui uno alla testa. La figlia Gaia, che aveva 9 anni, rimase gravemente ferita all’addome. Il terrore, quel giorno, si appropriò di docili vite ingenue.
A distanza di quarant’anni, il fenomeno delle estorsioni resta diffuso e presente, ma quella calma che mostrava Pietro Patti nel vincere la paura è stata d’esempio per centinaia di imprenditori e commercianti che si sono opposti ai condizionamenti di Cosa nostra in una città prosciugata dalla presenza mafiosa. Per troppo tempo i produttori sono stati costretti a chiudere la propria attività o ad andare via. Tuttora, Brancaccio rimane un quartiere complesso, dove molti di coloro che pagano le estorsioni restano acquiescenti non tanto per paura, ma per convenienza.