Il 5 gennaio 1984 a Catania la mafia uccideva il giornalista e scrittore Giuseppe Fava.
Catanese d’adozione, Giuseppe “Pippo” Fava era giornalista d’inchiesta, scrittore di romanzi, sceneggiatore e drammaturgo apprezzato.
Quella sera aveva appena lasciato la redazione deI Siciliani, la rivista d’inchiesta fondata assieme a un gruppo di giornalisti che denunciava apertamente gli interessi di mafia, affari e politica, in un periodo storico in cui si negava ancora l’esistenza stessa di Cosa nostra.
Era in via dello Stadio (oggi via Fava), nei pressi del Teatro Stabile di Catania, quando cinque proiettili lo colpivano mortalmente alla nuca. Aveva 58 anni.
Poche autorità parteciperanno al suo funerale. Dopo dieci anni di indagini (e depistaggi), grazie anche all’impegno dei suoi familiari, finalmente verrà riconosciuta la matrice mafiosa dell’omicidio e saranno condannati alcuni esponenti del clan Santapaola.
Lo vogliamo ricordare con le sue parole, tratte dal celebre editoriale pubblicato nel Giornale del Sud:
Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali. tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo.