Quarant’anni fa, il 5 gennaio 1984, veniva strappato alla vita da mano mafiosa Giuseppe Fava: intellettuale, scrittore, giornalista e drammaturgo, ucciso a causa della sua denuncia – con tutti i mezzi a sua disposizione – delle collusioni fra la politica e Cosa nostra.
Era nato a Palazzolo Acreide (SR) nel 1925, ma la sua professione giornalistica ha sempre avuto come centro nevralgico Catania, dove neppure si dava per scontata la presenza della mafia, ma in cui era in corso una ferocissima faida tra la famiglia Santapaola e quella dei Ferlito, anche a causa dei traffici internazionali di sostanze stupefacenti. Proprio a causa dell’ignoranza riguardo al fenomeno, si faceva sempre più fitta la rete di relazioni tra la mafia e il mondo imprenditoriale e politico: rete di relazioni che necessitava di essere portata alla luce. Fava di questo fece la propria missione nei vari giornali con cui collaborò, talvolta anche rivestendo ruoli di spicco, ma venendo puntualmente censurato per interessi politico-economici.
Il suo articolo “Lo spirito di un giornale” del 1981 contiene quello che poi sarà definito il “manifesto del giornalista antimafioso”: «Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo».
Soprattutto quando, a fine 1982, fondò il proprio giornale “I Siciliani”, l’attacco di Fava alla mafia e alle sue relazioni si fecero sempre più duri. Fava venne ucciso la sera del 5 gennaio 1984, con 5 colpi di pistola alla nuca, mentre si trovava a bordo della sua auto. Per l’omicidio vennero condannati all’ergastolo Nitto Santapaola come mandante, Marcello D’Agata e Francesco Giammuso come organizzatori, e Aldo Ercolano e Maurizio Avola come esecutori materiali.