Oltre le denunce contro le estorsioni servono lavoro e politiche sociali.
A trent’anni dalla lettera al “Caro estorsore” di Libero Grassi, nonostante ci sia ancora oggi chi continua a pagare e in certe circostanze a negare l’evidenza, crediamo che esista oramai una concreta alternativa oltre la condizione, per tanto tempo ineluttabile, di tacere e pagare le estorsioni.
Oggi la scelta di opporsi al racket delle estorsioni oltre ad essere possibile non ha nemmeno bisogno del clamore mediatico, a cui fu costretto, suo malgrado, Libero Grassi.
Pensiamo che non sia più il tempo in cui la narrazione sul fenomeno delle estorsioni debba sfociare in rappresentazioni eroiche che, oltre a risultare fuorvianti, allontanano la gente comune da una battaglia che per essere vinta ha bisogno di esempi di normalità, praticati più che proclamati.
Tuttavia va detto che ci sono aree di Palermo dove ancora permangono paura e diffidenza, specie in contesti fortemente colpiti da povertà e degrado.
Quartieri della città e zone della provincia dove diritti fondamentali come quelli al lavoro, alla casa, alla salute e all’istruzione, rimangono un miraggio per tanti, troppi. Se l’emergenza abitativa cresce, l’occupazione è ai minimi storici, la dispersione scolastica aumenta e il diritto alla salute si assottiglia, i fenomeni criminali e di illegalità diffusa sono destinati a perpetuarsi. Tale stato di cose non può che rendere più difficili i processi di liberazione dal fenomeno estorsivo, da Cosa nostra e dall’illegalità diffusa, che in certi contesti diventano l’unico ammortizzatore sociale in grado di assicurare sopravvivenza.
Quello che in questo momento più ci preoccupa non è tanto il rischio di recrudescenza dell’usura e del condizionamento mafioso di imprese e famiglie in difficoltà. Rispetto a tale pericolo i magistrati della procura di Palermo e le forze dell’ordine continuano a operare efficacemente liberando vittime di estorsione, pezzi di territorio e di economia dal controllo di Cosa nostra.
Quello che più ci inquieta è che i vuoti creati dall’azione repressiva possano, nel tempo, rimanere tali e senza risposte politiche.
Vuoti che in questo periodo drammatico diventano voragini se il lavoro, l’accesso al credito, la cassa integrazione, il sussidio alimentare, l’istruzione con l’accesso alle tecnologie informatiche e la salute rimangono più che diritti per tutti un miraggio per molti.
Per queste ragioni siamo convinti che non sia oramai più sufficiente che le associazioni antiracket si limitino a sostenere commercianti e imprenditori a denunciare estorsioni ed usura se non orientano il loro contributo anche per rimuovere le condizioni di povertà che contribuiscono ad alimentare fenomeni criminali e di illegalità diffusa.
Da diversi anni, pur non allentando il gravoso impegno di aiutare chi si oppone alle estorsioni, cerchiamo di fare la nostra parte nel quartiere Kalsa di Palermo dove siamo impegnati in interventi di inclusione sociale abitativa, educativa e lavorativa nei confronti di chi vive situazioni molto difficili: figli di chi non ha un lavoro, una casa e a volte anche da mangiare. Figli di questa città che hanno diritto ad avere diritti e che senza opportunità e alternative rischiano di diventare la nuova manovalanza criminale del futuro.