Dieci anni fa la nostra pratica era un piccolo e fragile segno di implicita resistenza al cospetto di un mondo in cui i termini mafia, usura e racket rappresentavano un tabù.
Abbiamo dato corso ad un lungo, faticoso ed entusiasmante processo di autoeducazione popolare finalizzato alla liberazione delle menti e del territorio, non certo da boss ed estorsori dell’ultima ora, ma dalla condizione di degrado culturale e sociale nella quale, ancora oggi, vengono incubati i mafiosi, i corrotti e i corruttori che verranno.
Oggi non è più la stagione nata dopo le stragi, che diede vita a una grande mobilitazione di persone indignate. Da tempo si è oramai consolidata e diffusa una tendenza per cui a parole tutti ripugnano la mafia e lanciano appelli alla denuncia.
Oggi è la stagione in cui ci siamo resi conto che parte delle nostre parole sono state stravolte, senza quasi ce ne accorgessimo, fino a divenire irriconoscibili.
Parole come dignità, responsabilità, coraggio, coerenza, merito, credibilità, che abbiamo assunto come bussole nella costruzione della nostra Sicilia ribelle a ogni forma di sopruso, sono state, infatti, oggetto di una sistematica operazione di manomissione. Queste parole sono state utilizzate per creare l’equivoco per il quale si ritiene che l’impegno, a vario titolo, sul terreno dell’antimafia possa essere un lasciapassare privo di regole, per entrare in politica, ricevere e ricoprire incarichi di amministrazione e di governo in Sicilia e nel resto dello stivale.
Siamo passati da un tempo in cui parlare di pizzo era ancora una chimera al trionfo dell’antimafia dei proclami, dei protocolli e della solidarietà del giorno dopo. Mai come in tale riflessione tornano utili le parole di Danilo Dolci: “per fare bene occorrono onestà e competenza”.
Un commerciante o un imprenditore che denuncia il racket dell’estorsione può essere una persona di specchiata e indiscussa moralità, ma non è detto che svolga nel migliore dei modi il suo mestiere. E se la stessa attività economica entra in crisi ciò non significa che tale situazione sia dovuta, sempre e comunque, alla vicenda estorsiva in cui si è ritrovata coinvolta.
Allora la politica deve recuperare il suo primato, riappropriarsi dei suoi spazi decisionali e di governo che ha perso in ragione di una profonda crisi di fiducia e di cattivo consenso generati da decenni di sistemi clientelari che hanno distrutto il Paese.
Solo così eviterà di autocommissariarsi, come oramai fa e lascia fare da tempo, con esponenti di associazioni di categoria, burocrati e professionisti che se desiderano, legittimamente, “scendere in campo”, è importante che lo facciano senza sovrapposizioni di ruoli e interessi.
Il futuro è torbido. Tutto si mescola, si manipola e si confonde, ma noi non conosciamo la rassegnazione. Siamo uomini e donne normali, spinti da una molla che tutti i siciliani onesti possiedono ma che raramente scatta: quella di urlare a un popolo intero di riappropriarsi di una dignità che gli spetta di diritto.
Con questo spirito ieri ci siamo costituiti parte civile nel processo Apocalisse dove supportiamo ventuno commercianti e imprenditori che hanno trovato la forza e il coraggio di liberarsi dal fenomeno estorsivo.