La vita di Giovanni Panunzio è un esempio di virtù civica e capacità imprenditoriale: un uomo pragmatico e laborioso che conosceva bene il valore del sacrificio. Rimasto, infatti, orfano del padre quando era ancora un fanciullo, contribuì al sostentamento della famiglia attraverso umili lavoretti. Benché non avesse potuto terminare la scuola, provvide da autodidatta ad apprendere le tecniche per diventare carpentiere. Era talmente costante e bravo nel suo lavoro che riuscì ad avviare una propria impresa di costruzioni, espandendosi sul territorio.
Siamo a Foggia, negli anni in cui si ramificava la cosiddetta Società foggiana o Nuova Società, una nuova organizzazione criminale mafiosa che, come le altre presenti in Puglia, permeava l’imprenditoria edile. Per tre anni, Panunzio subì richieste estorsive, minacce e un tentato omicidio; si rifiutò di pagare il pizzo perché voleva rimanere un uomo libero. Poi, nel 1991, un suo memoriale, costituito da sospetti e certezze e consegnato ai Carabinieri, permise di rompere il muro dell’omertà e di far arrestare esponenti di spicco della mafia locale.
Il 6 novembre 1992 era il giorno del suo anniversario di matrimonio, e aveva deciso, quindi, di lasciare presto le incombenze lavorative per tornare a casa dalla sua amata moglie. Quest’ultima, però, non riuscì a vederlo, perché Giovanni fu ucciso con colpi di arma da fuoco durante il tragitto in automobile.
Tanto gli esecutori materiali quanto i mandanti dell’omicidio furono condannati all’ergastolo dalla Corte d’assise d’appello di Bari nel 1999.
Oggi, nel 32° anniversario della sua morte, ricordiamo Giovanni Panunzio per infondere il coraggio a tutti i cittadini, nonché agli imprenditori, di opporsi sempre alla violenza sistemica del racket che oltraggia la legalità e la dignità del lavoro.
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